Visita la grande stele che ricorda chi morì per la pace – Fiumicino


Nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino, accanto al museo delle navi e prima di imboccare la Roma-Fiumicino, è possibile notare un grande monumento su un enorme distesa di prato verde.
Un monumento grande, proteso verso il cielo, raccolto in una serie di rampicanti bianchi di travertino, scolpiti sulla pietra, che lo circondano e lo avvolgono in una affascinante unione tra roccia e natura.La scultura è opera di Pio Manzù, scultore e designer, figlio del celebre Giacomo Manzù.

Questa scultura, cosi bella e imponente, nasconde però un segreto sanguinoso e cruento.
Si tratta di una stele in ricordo di un sacrificio in nome della pace.

mercenary-congoNel 1961 il Congo era in preda ad una sanguinosa guerra civile: il Belgio, al momento dell’indipendenza, lasciò il Congo in un completo caos politico ed amministrativo; grandi interessi internazionali e finanziari agirono poi per rendere più grave la situazione, favorendo la secessione del Katanga, la più ricca provincia del paese, centro d’importanti attività minerarie. Le fazioni in lotta erano tre: quella del presidente Joseph Kasa-Vubu con le truppe comandate dal generale Mobutu che controllavano le regioni occidentali, quella lumumbista di Antoine Gizenga con le truppe del generale Lundula che controllavano le provincie orientale, e quella katanghese di Moise Ciombe con i gendarmi guidati da mercenari bianchi, soprattutto belgi.

Un massiccio intervento militare dell’ONU farà scatenare ancora di più la situazione, con il Segretario Generale delle Nazione Unite che cadrà vittima di un attentato nel mese di novembre.

In questo contesto cosi delicato e cruento anche l’Italia fa la sua parte inviando un contingente aereo formato da due C119 dell’Aeronautica Militare Italiana con i simboli delle Nazioni Unite che hanno il compito di rifornire la piccola guarnigione malese dell’ONU che controllava l’aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale. La zona era sconvolta da mesi dal passaggio delle truppe di Gizenga provenienti da Stanleyville e dirette nel Katanga, reparti improvvisati i cui componenti erano spesso ubriachi, indisciplinati e dediti alle ruberie ai danni della popolazione locale; il 25 settembre precedente era morto Raffaele Soru, un volontario della Corpo militare della Croce Rossa Italiana rimasto ferito a morte proprio a Kindu nel corso di scontri tra ribelli e soldati.

La mattina di sabato 11 novembre 1961 i due aerei decollarono dalla capitale Leopoldville per portare rifornimento alla piccola guarnigione malese dell’ONU.

kindu_2Gli aerei italiani si dovevano fermare a Kindu solo per il tempo di scaricare e, per gli equipaggi, di mangiare qualcosa. I due C-119 comparirono nel cielo della cittadina poco dopo le 14:00, e dopo aver fatto alcuni giri sopra l’abitato atterrarono all’aeroporto controllato dai malesi. Da vari giorni in città vi era un’agitazione maggiore del solito: fra i duemila soldati congolesi di Kindu si era sparsa la voce che fosse imminente un lancio di paracadutisti mercenari al soldo del regime di Ciombe, e da tempo le truppe di Gizenga che operavano nel nord del Katanga, 500 chilometri più a sud di Kindu, erano sottoposte a bombardamenti dagli aerei katanghesi.

La vista dei due aerei italiani, scambiati per velivoli katanghesi carichi di paracadutisti, scatenò la reazione incontrollata dei soldati di stanza a Kindu: diverse centinaia di congolesi si recarono in camion all’aeroporto dove in quel momento i tredici uomini degli equipaggi italiani, comandati dal maggiore Parmeggiani, si trovavano alla mensa dell’ONU, una villetta distante un chilometro dalla pista, insieme a una decina di ufficiali del presidio malese. Intorno alle 16:15 i congolesi fecero irruzione nell’edificio, dove italiani e malesi, quasi tutti disarmati, si erano barricati: circa 80 soldati congolesi sopraffecero rapidamente gli occupanti della palazzina e li malmenarono duramente, accanendosi in particolare contro gli italiani scambiati per mercenari belgi al soldo dei katanghesi; il tenente medico Francesco Paolo Remotti tentò di fuggire lanciandosi da una finestra aperta, ma fu rapidamente raggiunto dai congolesi e subito ucciso.

Intorno alle 16:30 arrivarono altri 300 miliziani congolesi guidati dal comandante del presidio di Kindu, un certo colonnello Pakassa: il comandante malese, maggiore Maud, tentò inutilmente di convincerlo che gli aviatori erano italiani dell’ONU e alle 16:50 i dodici italiani, costretti a trasportare con loro il corpo di Remotti, furono caricati a forza sui camion e portati in città, per poi essere rinchiusi nella piccola prigione locale. Mentre il maggiore Maud e il suo vice discutevano se fosse meglio trattare il rilascio pacifico degli italiani o tentare un’azione di forza per liberarli, quella notte giunsero all’aeroporto di Kindu da Leopoldville il generale Lundula e alcuni funzionari della ONUC: il gruppo cercò di contattare il comando del presidio per avviare un canale di trattative, ma il tentativo fallì e il generale ebbe l’impressione che gli ufficiali congolesi avessero ormai perso del tutto il controllo sui loro uomini.

Quella notte, soldati congolesi fecero irruzione nella cella dove erano detenuti i dodici aviatori italiani e li uccisero tutti a colpi di mitra; abbandonati i corpi sul posto, questi furono spostati poche ore dopo dal custode del carcere che, temendone lo scempio, li trasportò con un camion nella foresta fuori città e li seppellì in una fossa comune.

img_3Per giorni non si seppe nulla della sorte degli aviatori, e lo stesso comando delle truppe ONU temporeggiò per evitare di scatenare una rappresaglia contro gli italiani senza sapere che questi erano già stati uccisi. Solo alcune settimane dopo l’eccidio il custode del carcere si mise in contatto con i fratelli Arcidiacono, due italiani residenti da tempo a Kindu: questi riuscirono a ricostruire le circostanze dell’eccidio e a contattare le autorità ONU per predisporre il recupero delle salme. Nel febbraio del 1962 quindi un convoglio della Croce Rossa austriaca, scortato da un contingente di caschi blu etiopi e accompagnato da due ufficiali della 46ª Aerobrigata (il tenente colonnello Picone e il maggiore Poggi), rinvenne la fossa comune dove erano stati seppelliti gli italiani nel cimitero di Tokolote, un piccolo villaggio sulle rive del Lualaba ai margini della foresta: i corpi, protetti da una grossa crosta di argilla, erano ancora in buono stato di conservazione e furono facilmente identificati. Trasportati all’aeroporto di Kindu, furono imbarcati su un C-119 italiano e inviati a Leopoldville, da dove rientrarono in Italia a bordo di un C-130 statunitense.

Nel 1994 fu riconosciuta alla loro memoria la Medaglia d’Oro al Valore Militare; solo nel 2007 i parenti delle vittime ottennero una legge sul risarcimento. Un monumento ai caduti di Kindu si trova all’ingresso dell’aeroporto internazionale Leonardo da Vinci, a Fiumicino; un altro è stato eretto a Pisa.

Sulla stele del monumento di Fiumicino vi è scritto a grandi lettere,
A ricordo del sacrificio dei tredici aviatori Italiani caduti a Kindu in missione di pace l’11-NOV-1961“.

Dopo l’eccidio, i piloti e gli assistenti di volo uomini dell’Alitalia, pretesero che la loro divisa fosse dotata della cravatta nera in luogo della precedente blu, in segno di lutto per i 13 aviatori uccisi. Tuttavia, nel giugno del 2015 la dirigenza Alitalia, in un quadro di rinnovamento d’immagine dell’azienda, ha deciso di sostituire la cravatta degli assistenti di volo con una più vivace fantasia regimental, mentre i piloti continuano a indossare la classica cravatta nera d’ordinanza.

I 13 aviatori uccisi furono:

  • Onorio De Luca, 25 anni, di Treppo Grande (UD) – sottotenente pilota;
  • Filippo Di Giovanni, 42 anni, di Palermo – maresciallo motorista;
  • Armando Fausto Fabi, 30 anni, di Giuliano di Roma (FR) – Sergente Maggiore elettromeccanico di bordo;
  • Giulio Garbati, 22 anni, di Roma – sottotenente pilota;
  • Giorgio Gonelli, 31 anni, di Ferrara – capitano pilota e vicecomandante;
  • Antonio Mamone, 28 anni, di Isola di Capo Rizzuto (KR) – sergente maggiore marconista;
  • Martano Marcacci, 27 anni, di Collesalvetti (LI) – sergente elettromeccanico di bordo;
  • Nazzareno Quadrumani, 42 anni, di Montefalco (PG) – motorista;
  • Francesco Paga, 31 anni, di Pietralcina (BN) – sergente marconista;
  • Amedeo Parmeggiani, 43 anni, di Bologna – maggiore pilota e comandante dei due equipaggi;
  • Silvestro Possenti, 40 anni, di Fabriano (AN) – sergente maggiore montatore;
  • Francesco Paolo Remotti, 29 anni, di Roma – tenente medico;
  • Nicola Stigliani, 30 anni, di Potenza – Sergente Maggiore montatore.
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